di Marco Valenti
Si stanno succedendo giorni importanti per il rilancio della Fortezza. Non siamo ancora arrivati a traguardi da tagliare ma la via per farlo è tracciata.
Cosa sta accadendo? Bè, oggi intanto ha preso inizio un percorso che, pur irto di difficoltà burocratiche (il male di questa nazione…), potrà portare ad un passo decisivo per iniziare la costruzione dell’Archedromo.
Se ne è parlato tanto in queste ultiime settimane anche perchè il candidato sindaco di Poggibonsi, David Bussagli, un ottimo candidato sindaco, lo ha citato più volte e compreso nel suo programma mettendelo in rilievo.
Oggi, finalmente, Vittorio Fronza, che ha redatto con me il progetto scientifico dell’Archeodromo, ha battuto a stazione totale, insieme a Federico Salzotti e Dario Ceppatelli, la prima picchettatura per delimitarlo e collocare la capanna individuata come iniziale step realizzativo.
L’Archeodromo è una vecchia idea, già presente nel masterplan originario del parco ma mai realizzata.
Più volte negli anni sono tornato alla carica, appoggiato dall’amico Dario Ceccherini, per progettarne la costruzione.
Infine, di recente, la lungimiranza di Luigi Di Corato, direttore della Fondazione Musei Senesi, nonché un finanziamento Arcus da lui trovato e finalizzato in tale direzione, hanno riaperto il progetto.
Ci troviamo quindi, come ho detto, a fare i primi passi del percorso conclusivo; percorso che sarà solo l’avvio di una progettazione pluriennale che il Comune dovrà sostenere e spingere con volontà, per non lasciare incompiuta la realizzazione complessiva.
Il finanziamento infatti copre la sola realizzazione di una struttura, la più grande ed imponente, ma pur sempre l’unico edificio di un vasto complesso insediativo di età carolingia.
Per fare questo, come per far rinascere il parco, sia chiaro, ci vorrà un’unità di intenti ed una perseveranza progettuale molto forte, da parte di tutti i soggetti coinvolti, degli uffici e di un assessorato alla cultura davvero di polso.
Il suo completamento costituirà un fiore all’occhiello della nuova amministrazione ed una delle fucine di cultura pratica (dio sa quanto c’è bisogno) per la comunità poggibonsese.
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COS’E’ L’ARCHEODROMO.
L’idea Archeodromo nasce per riprodurre in scala 1:1 una delle più importanti scoperte sulla collina di Poggio Imperiale.
Lo scavo archeologico ha infatti rivelato una sequenza del popolamento di oltre otto secoli, con la successione di una serie di realtà insediative, mutate ed evolute nel tempo sino ad arrivare alla “quasi città” di Poggio Bonizio”.
Tra esse, di estremo rilievo ed interesse, nonchè ormai ben nota a livello scientifico europeo, è la fase del villaggio di periodo franco (IX-metà X secolo). Villaggio per il quale si riconosce la conformazione di una possibile azienda curtense. Infatti, dopo l’VIII secolo, le élite stabilizzarono i propri patrimoni fondiari affermandosi definitivamente nella campagna ed iniziando forse una nuova fase di netta separazione dalla città.
Molti dei possidenti sembrano infatti risiedere nei centri di popolamento rurali e radicalizzarne le forme di controllo. In questo periodo azienda e villaggio sono sovente, come dimostra l’archeologia, la stessa entità.
Nel caso poggibonsese, a livello insediativo è possibile distinguere lo spazio del potere economico dagli spazi occupati dalla massa dei poderi e si riscontra la presenza tangibile di una figura direzionale che vive nel villaggio e si separa dai contadini dotandosi di infrastrutture assenti nel resto del villaggio.
La residenza padronale è quindi caratterizzata dalla presenza di strutture destinate alle attività artigianali e all’immagazzinamento di derrate alimentari e prodotti agricoli, nonché da edifici di servizio.
Questa zona è quindi legata ad una famiglia dominante in grado di esercitare il controllo di tutti i mezzi di produzione, di intercettare e razionalizzare prelievi sulla produzione agricola, accumulare scorte ed esigere opere dai propri contadini.
A Poggibonsi, le strutture d’età carolingia nascono da una nuova ridefinizione urbanistica dell’abitato intorno ad un grande edificio tipo longhouse.
Lo spazio circostante fu organizzato con annessi, strutture di servizio e magazzini per la raccolta di derrate; gli animali erano custoditi all’interno del centro e le attività artigianali venivano svolte sotto il diretto controllo del proprietario.
La presenza del proprietario, o del soggetto più importante, pare testimoniata da reperti che ne rivelano l’identità cioè una lancia, una punta di freccia, elementi della bardatura di un cavallo: doveva quindi trattarsi di un miles dotato di cavalli, come evidenziano anche le restituzioni osteologiche.
Si tratta di una fase del popolamento nella quale i materiali edilizi deperibili dominano le forme del vivere quotidiano. Il legno e i materiali deperibili in genere costituiscono, in campagna come in città, le principali materie prime per l’edilizia durante l’alto medioevo italiano.
L’affermazione, archeologicamente tutt’altro che scontata fino a qualche decennio fa, è corroborata da dati materiali quantitativamente e qualitativamente significativi anche senza la necessità di ricorrere all’ampia e autorevole storiografia che identifica il medioevo come la “civiltà del legno”; possiamo dire che siamo di fronte a un dato di fatto ormai universalmente riconosciuto dalla comunità scientifica.
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LA NATURA DELL’ARCHEODROMO.
L’archeodromo da allestire presso Poggio Imperiale a Poggibonsi darà un peso preminente alla materialità delle forme edilizie, ispirandosi in modo diretto ad una tradizione museale tipica dell’Europa centro-settentrionale (ambito francese, inglese, germanico e scandinavo).
In realtà, anche a livello europeo gli esempi di villaggi altomedievali filologicamente ricostruiti non sono moltissimi, ma si tratta di realizzazioni complesse, suggestive e di chiaro impatto sul pubblico. Fra i diversi casi che si potrebbero citare per l’ambito transalpino ricordiamo almeno l’esperienza eccezionale di Guedelon (http://www.guedelon.fr/), iniziata nel 1996; si tratta di un progetto pilota tutt’ora in corso che prevede la ricostruzione di un intero castello del XIII secolo.
Viene riprodotto nel minimo dettaglio tutto il ciclo costruttivo dell’epoca, dal rifornimento e trasporto delle materie prime fino alla realizzazione finita dei manufatti architettonici. Il periodo non coincide esattamente con quello trattato dalla mostra (anche se la ricostruzione del castello in muratura è in realtà affiancata da una più modesta ricostruzione di una fortificazione in legno cronologicamente precedente), ma l’esperienza complessiva e la sua portata didattica sono talmente eccezionali da costituire un sicuro punto di riferimento.
Anche nel mondo anglosassone esistono esempi di parco archeologico che hanno fatto scuola, soprattutto in virtù delle ricostruzioni in scala 1:1 di strutture rinvenute durante gli scavi. In particolare, come vero e proprio precursore del genere, possiamo indicare lo Jorvik Center (http://www.jorvik-viking-centre.co.uk/), fondato nel 1984 e dedicato alla città di York in epoca vichinga. Rispetto all’approccio filologico (con finalità essenzialmente legate all’archeologia sperimentale e alla conoscenza delle architetture) riscontrato a Guedelon, lo Jorvik Center è caratterizzato da un’impronta più ludico-didattica; una sorta di grande parco dei divertimenti a tema, ma con una solida base scientifica. Vi sono state ricreate varie ambientazioni mirate a rievocare l’atmosfera dell’epoca, illustrare i mestieri e descrivere la vita quotidiana di una città fra il IX e la prima metà dell’XI secolo.
A metà strada fra i due approcci fin qui descritti si colloca la ricostruzione del villaggio di West Stow (http://www.stedmundsbury.gov.uk/sebc/play/weststow-asv.cfm), un sito fondamentale per la conoscenza del periodo anglo-sassone. In questo caso il parco archeologico, nato addirittura nel 1976, coniuga le esigenze dei visitatori con quelle degli archeologi. Seguendo un percorso guidato dai principi dell’archeologia sperimentale (compreso l’abbandono, la distruzione e il successivo scavo delle evidenze conservatesi nel sottosuolo) sono state ricostruite numerose capanne, soprattutto strutture funzionali semiscavate e le cosiddette Anglo-Saxon halls (abitazioni a livello del suolo); gli edifici sono interamente visitabili e “vivibili” dal pubblico attraverso l’allestimento di percorsi che includono percorsi didattici e/o dimostrativi incentrati sulle attività quotidiane che venivano svolte all’interno di questi ambienti.
In ambito germanico, infine, domina la tradizione del Freilichtmuseum, quasi sempre di carattere locale (spesso legato a iniziative di living history) e condotto soprattutto con un occhio antropologico-culturale; la maggior parte di questi musei open-air è incentrata sull’epoca pienamente medievale e/o moderna, ma esistono anche casi di villaggi altomedievali ricostruiti (ad es. http://www.afm-oerlinghausen.de/ ehttp://www.fruehmittelalterdorf.at/). In tutti i siti fin qui ricordati (una selezione forzatamente limitata ma significativa) l’edilizia assume un ruolo centrale nel concept espositivo, fungendo da perno attorno al quale ruota tutto il percorso di visita e la conoscenza che si intende veicolare.
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LA LONGHOUSE: PRIMA STRUTTURA CHE VERRA’ RICOSTRUITA.
Il centro del villaggio di età franca ruotava intorno ad una grande abitazione che costituiva la residenza padronale.
Era un grande edificio tipo longhouse (nome con il quale gli archeologi hanno indicato tali tipi di strutture in coevi insediamenti dell’Europa settentrionale).
La struttura, accuratamente pianificata, ha una pianta “a barca” (dimensioni di 17 x 8,5) con il tetto sorretto da pali perimetrali integrati da un allineamento centrale che forma due navate; si è riconosciuta una suddivisione in tre ambienti: zona domestica, zona magazzino, zona ad uso misto. L’ambiente domestico presenta un grande focolare angolare affiancato da una zona per la macinatura del grano. Una fila di paletti posta in orizzontale nella zona ovest separa lo spazio domestico dall’ambiente destinato a magazzino, dove liquidi e derrate alimentari sono conservati in contenitori ceramici di grandi dimensioni alloggiati in buche poco profonde; i grani sono invece accumulati in due silos di forma cilindrica.
Da questa grande capanna si dipartiva una strada in terra battuta, affiancata da un edificio di servizio destinato alla macellazione della carne e contornata da capanne di dimensioni minori forse riconducibili a servi o dipendenti, da un’area destinata a strutture artigianali che comprendeva una fornace da ceramica ed una forgia da ferro e da un grande granaio. Il granaio aveva forma rettangolare, esteso 8,5 x 5,5 m, ed era costituito da un’armatura di pali perimetrali estremamente robusta e da un piano di calpestio molto scuro con evidenti tracce di frequentazione di tipo non domestico.
Uno spazio aperto con contenitori infissi nel terreno, steccati e concimaia ha mostrato i resti delle attività quotidiane di una popolazione rurale.
Questo complesso era il centro della curtis e gli studi sulla fauna ne delineano i caratteri economici: attività agricole e pastorizia specializzata. I buoi erano soprattutto impiegati nei lavori di trazione e nei campi; i caprovini destinati alla produzione di latticini, della lana e per il consumo di carne.
Nella casa dominica si svolgevano quindi attività economiche incentrate sullo sfruttamento agricolo dei terreni circostanti e sull’allevamento.
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FINALITA’ DELL’ARCHEODROMO.
L’archeodromo sarà in grado di catalizzare l’attenzione dei visitatori e fungere da filo conduttore della narrazione del sito altomedievale nel suo complesso, riprendendo al contempo molti dei concetti espositivi presenti nella sede espositiva principale presso il Cassero.
L’impresa è piuttosto complessa e, come insegnano chiaramente gli esempi europei già ricordati, va articolata nel tempo; ma poter contare su queste ricostruzioni costituisce sicuramente un punto fondamentale e distintivo del Parco; l’archeodromo vuole rappresentare una soluzione espositiva di forte impatto che consentirà ai visitatori di entrare fisicamente negli spazi di vita propri del periodo in oggetto e toccarne con mano le forme, le dimensioni e le caratteristiche; la rappresentazione della casa del signore, insieme ad un’opportuna pannellistica che verrà collocata in prossimità di questa, renderà chiaro il concetto di ricchezza nell’alto medioevo: dimensioni più ampie dello spazio abitato, maggiore articolazione della struttura, aree di conserva inserite al suo interno.
Inoltre dentro queste strutture si prevede di organizzare incontri tipo touch the past durante i quali archeologi in costume compiono lavori e “vivono” momenti di vita quotidiana; tali iniziative da prevedere in giornate fisse durante la settimana potranno essere anche intensificate o stabilite in collaborazione con le scuole della città e del territorio, facendo interagire le scolaresche stesse.
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ATTIVITA’ NELL’ARCHEODROMO.
Effettueremo quindi all’interno dell’archeodromo attività di living history.
La living history, traducibile con il termine “storia vivente” ma conosciuto in Italia anche come “ricostruzione storica”, è un modo di divulgare la conoscenza della storia nato in ambiente anglosassone e che, diffusosi rapidamente in quasi tutto il mondo, rende estremamente fruibile dal grande pubblico il risultato delle ricerche condotte da professionisti nel campo della storia e dell’archeologia.
Attualmente la living history viene applicata praticamente a tutte le epoche storiche, dalla preistoria alla seconda guerra mondiale.
I re-enactors, o ricostruttori storici, sono in grado di ricostruire dal vivo ambienti, oggetti, attività e “situazioni” di epoche passate in modo da presentare all’utente uno spaccato di vita quotidiana o un fatto di rilevanza storica.
Si tratta di “attori” che non recitano un copione ma rivivono letteralmente un momento storico, ricostruito su solide basi scientifiche, agendo come avrebbe agito una persona vissuta secoli fa. Nel contempo sperimentano, collaudano e studiano le repliche ricostruite (attrezzi da lavoro, abitazioni, abiti…), interagiscono con il pubblico e diffondono i risultati delle loro ricerche.
La ricostruzione storica, infatti, può essere considerata la naturale conseguenza dell’archeologia sperimentale e dell’archeologia ricostruttiva, un potente strumento per raggiungere non solo gli appassionati, ma anche tutte quelle persone che normalmente non si avvicinerebbero ad un museo. Già da un paio di decenni, importanti istituti storici e musei, soprattutto nordeuropei, si avvalgono di gruppi stabili di ricostruttori che lavorano a stretto contatto con ricercatori (ma sempre più spesso le due figure coincidono) per potenziare esponenzialmente la capacità didattica, la capacità divulgativa e, perché no, creare grossi eventi di ricostruzione storica che, normalmente, attirano molti visitatori.
Questo potente “strumento divulgativo” si presta egregiamente agli scopi divulgativi comunicativi della mostra. Troverebbe la sua applicazione massima nell’ambito dell’archeodromo previsto sul sito di Poggio Imperiale, più precisamente per quanto riguarda il periodo longobardo e il periodo carolingio. La ricostruzione del villaggio alto medievale diventa l’ambiente ideale nel quale organizzare eventi living history con re-enactors in abiti d’epoca che riproducono le attività tipiche del periodo di vita del sito archeologico.
Le felici esperienze anglosassoni (West Stow, Yorvik Center ecc.) ci insegnano che possono essere organizzati eventi che richiamano pubblico senza scadere nella solita rievocazione medievale tanto di moda nelle sagre paesane di tutta Italia. Un utente che visita l’archeodromo vedrebbe rievocatori intenti a dissodare la terra con repliche di aratri e strumenti agricoli ricostruiti attraverso lo studio di reperti archeologici e iconografie dell’epoca di riferimento, vedrebbe un fabbro, sporco di fuliggine, azionare un mantice a mano per insufflare aria nella forgia e martellare una barra di ferro fino a realizzare una lama di coltello del tutto simile a quelle ritrovate negli strati alto medievali dello scavo, vedrebbe guerrieri intenti ad addestrarsi nell’uso di spade, lance e scudi realizzati dai rievocatori stessi, vedrebbe donne intorno al focolare che preparano focacce utilizzando un testo come succedeva, negli stessi luoghi, più di mille anni fa.
Non solo, il visitatore, potrebbe “disturbare” i ricostruttori per chiedere loro informazioni sulle attività svolte o addirittura provare lui stesso a usare gli strumenti e ripeterne i gesti.
Un altro evento legato alla living history potrebbe essere l’organizzazione di un convegno/incontro tra ricostruttori e archeologi (nel senso classico del termine) in cui verranno presentati i risultati delle rispettive ricerche nell’ambito della cultura materiale dell’alto medioevo allo scopo di integrare ed evolvere le due discipline. I ricostruttori, nella maggior parte dei casi dilettanti appassionati di storia, hanno incessante bisogno di dati provenienti dal lavoro dell’archeologo per perfezionare le loro ricostruzioni e, per contro, spesso gli archeologi tendono a pensare alle strutture scavate e ai reperti recuperati come oggetti da archiviare e interpretare solo teoricamente, certamente consapevoli che le tracce e gli oggetti trovati in scavo sono il risultato delle attività e della vita che si svolgeva nei siti indagati, solo di rado sanno veramente cosa si prova a cucinare con un’olla in ceramica grezza o a passare una notte in una longhouse.
Si veda al riguardo anche il seguente album concernente immagini tratte da archeodromi europeihttps://www.facebook.com/media/set/edit/oa.383278508356162/
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LE STRUTTURE DA RICOSTRUIRE NEGLI ANNI.
Si vedano al riguardo le immagini relative alla pianta di scavo ed alle ricostruzioni grafiche caratterizzate dalle sigle relative.
C1 (capanna abitativa con canaletta perimetrali immediatamente a SE della longhouse C3)
Pianta: quasi quadrata con angoli fortemente stondati (lato SO curvilineo)
Orientamento: NE-SO
Dimensioni: 4,80 x 4,50 m
C3 (longhouse abitativa + attività domestiche, edificio principale)
Pianta: longhouse a barca abbastanza regolare
Orientamento: NO-SE
Dimensioni: 15,70 x 8 m (dimensioni medie); lunghezza: 15,70 m, larghezza al centro: 8,40 m, larghezza lato NO: 6,70 m, larghezza lato SE: 6,20 m.
C7 (capanna adibita a macelleria, immediatamente a NE della longhouse C3)
Pianta: rettangolare
Orientamento: NO-SE
Dimensioni: 5,80 x 4,65 m
C10 (capanna a “T” adibita ad abitazione servile, immediatamente a N della longhouse C3, lungo la viabilità V5)
Pianta: a “T” (ambiente rettangolare d’ingresso lungo la viabilità V5 e ambiente rettangolare principale)
Orientamento: NO-SE (ambiente d’ingresso) e NE-SO (ambiente principale)
Dimensioni: 3 x 2,05 (ambiente d’ingresso, compreso il corridoio di accesso); 7,9 x 2,05-2,40 m (ambiente principale)
C12a (granaio su pali sopraelevati, collocato a SE della longhouse C3)
Pianta: rettangolare
Orientamento: NE-SO
Dimensioni: 9,20 x 5,25 m
C32 (capanna abitativa rettangolare, delimita a SE la corte di fronte alla longhouse C3)
Pianta: rettangolare
Orientamento: NE-SO
Dimensioni: 6,20 x 5,10 (ipotizzate, visto il cattivo stato di conservazione della struttura)
C39 (capanna in cattivo stato di conservazione a SO di C32, forse abitativa)
Pianta: probabilmente rettangolare
Orientamento: E-O
Dimensioni: 5,60 x 4 m (ipotizzate visto il cattivo stato di conservazione della struttura)
SB33 (probabile tettoia e atelier metallurgico, collocato nella porzione centro-settentrionale del manso, a nord della C28 che delimita la corte sul retro della longhouse C3)
Pianta: rettangolare
Orientamento: NO-SE
Dimensioni: 4,40 x 2,20 m (dimensioni ipotizzate, struttura in cattivo stato di conservazione)
SB37 (struttura in cattivo stato di conservazione, probabile abitazione di medio-grandi dimensioni che chiude a NO la corte sul retro della longhouse C3)
Pianta: rettangolare
Orientamento: NE-SO
Dimensioni: 8,60 x 5,50 m (dimensioni ipotizzate)
C28 (capanna o tettoia che delimita a NE la corte sul retro della longhouse, a NO della viabilità V5; probabile magazzino per derrate alimentari)
Pianta: rettangolare
Orientamento: NO-SE
Dimensioni: 6 x 3,30 m (probabili, visto il cattivo stato di conservazione dell’edificio
C31 (struttura rettangolare, probabile recinto attorno alla capanna abitativa C32, sul limite SE della corte di fronte alla longhouse C3)
Pianta: rettangolare
Orientamento: NE-SO
Dimensioni: 13 x 4,50 m ca. (dimensioni conservate); 14 x 10 m (dimensioni ipotizzate)
PL1 (recinto/palizzata di chiusura accanto a C1)
Pianta: lineare con angolo retto
Dimensioni: 4,40 x 1,20-1,70 m (spazio recintato) 1,20 m (tratto orientato NO-SE); 4,40 m (tratto orientato NE-SO)
SA (corte principale, di fronte alla longhouse, sul lato est della viabilità V5)
Pianta: quadrata irregolare
Orientamento: NO-SE
Dimensioni: ca. 23-30 x 25-29 m (dalla longhouse C3 alla SB22 in senso NE-SO, dalla strada V5 fino alla C32 in senso NO-SE)
SA4 (corte sul retro della longhouse, sul lato ovest della viabilità V5, con abbondanti tracce di attività agricole)
Pianta: quadrata irregolare
Orientamento: NO-SE
Dimensioni: ca. 18-20 x 17-19 m (dalla longhouse C3 alla SB37 in senso NO-SE, dalla strada bassomedievale fino alla C28 in senso NE-SO)
SB12b (allineamento ellittico di buche di palo di piccole dimensioni presso il lato NO del granaio C12a, forse interpretabile come pollaio)
Pianta: ellitttico irregolare
Orientamento: NO-SE
Dimensioni: 2,50 x 2,30 m
SB12c (situazione di buche di palo presso il lato SO del granaio C12a, difficile intepretazione, forse pagliai)
Pianta: n.d.
Dimensioni: ca. 2,50 x 1,80 m
SB27 (recinto parte SO della corte sul retro della longhouse C3)
Pianta: rettangolare
Orientamento: NO-SE
Dimensioni: ca. 10,80 x 8 m (dimensioni ipotizzate, probabili rifacimenti frequenti del recinto con cambi di dimensioni)